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Cerasuolo è l’aggettivo che indica il colore della ciliegia. Cerasuolo è anche un sostantivo e in questo caso indica un vino abruzzese, dal colore della ciliegia nelle sue diverse fasi di maturazione, il Cerasuolo d’Abruzzo. Un vino rosa che può arrivare a trasfigurare nel rosso leggero. Vino di una terra di colline e di montagna che “sanno” che là in fondo c’è il mare. Tra i più tradizionali interpreti del vino rosa che abbiamo in Italia.

Bene, molto bene ha fatto il Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo a organizzare, al Vinitaly, una piuttosto clamorosa verticale di Cerasuolo d’Abruzzo, definendolo “un rosa senza tempo”. Badate alla definizione. “Un rosa”, perché il Cerasuolo è appunto un vino rosa, non un “rosato”, termine che appartiene ad altre denominazioni d’origine, e come esiste tra i vini il rosso e il bianco è giusto che esista anche il rosa, idea questa coniata – giusto attribuirgliene la paternità – da Luigi Cataldi Madonna, che è, guarda caso, anche tra i massimi interpreti del Cerasuolo d’Abruzzo. E “senza tempo”, perché le caratteristiche del Cerasuolo e dell’uva che ne è genitrice, il montepulciano d’Abruzzo, sono tali da conferirgli consistenti doti di longevità. Ho detto poi “clamorosa”, di questa verticale, perché si è bevuto – sì, bevuto, bevibilissimo – Cerasuolo che datava dal 2006, e se n’è avuto nel calice un altro persino quarantenne. Cose che fanno bene al vino rosa, a tutto il vino rosa.

Qui di seguito riporto qualche nota sui vini assaggiati. Non metto alcun punteggio, perché non avrebbe senso attribuirne, giacché troppa diversità di età vi era tra le bottiglie stappate, e dunque troppo diversi avrebbero dovuto essere i parametri di riferimento, e non vi può in ogni caso essere un contronto diretto, come potrebbero invece far pensare dei numerini.

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Tenuta I Fauri, Cerasuolo d’Abruzzo Baldovino 2015.

In forma spettacolare. Scattante, nervoso, speziatissimo, salato e dinamico. Il tannino, calibrato, è incessantemente sotteso.

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